“100 DM” un progetto in collaborazione con Tommaso Bonaventura

una ricerca, una mostra e un libro

“100 marchi – Berlino 2019” è un progetto realizzato in collaborazione col fotografo Tommaso Bonaventura in occasione dei 30 anni dalla caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989). Privilegiando le storie private e familiari, a partire dalla vicenda del Begrüssungsgeld il progetto si interroga su un cambiamento epocale proponendosi di restituirne la complessità in un racconto fotografico e testuale.

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Il Begrüßungsgeld (“denaro di benvenuto”) è il dono che dal 1970 fino al dicembre 1989 la Repubblica federale tedesca offriva a ogni abitante proveniente dalla Repubblica democratica tedesca la prima volta in visita nel paese.
La cifra e le modalità di erogazione sono variate nel tempo fino a quando è stata stabilita un’unica soluzione, del valore di 100 DM (Deutsche Mark), corrispondenti a circa 60 euro di oggi.
Dopo la caduta del muro di Berlino migliaia di persone della Germania Est si sono messe in fila nelle banche occidentali per ritirare i 100 marchi dell’Ovest che spettavano a ogni cittadino provvisto di documento.

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Ci siamo posti una domanda apparentemente semplice, “Come avranno speso le persone i soldi del Begrüßungsgeld?”, e a Berlino abbiamo lavorato nel corso di due anni cercando di verificare se e come questo evento simbolico avesse segnato l’inizio di un una nuova centralità del denaro nelle vite dei cittadini della DDR.

In realtà fin da quando ce la siamo posta ci siamo resi conto che questa semplice domanda apriva a una molteplicità di considerazioni tale da corredarsi immediatamente di molte altre, tipo: “Tutti avranno ritirato questo denaro di benvenuto o qualcuno l’avrà rifiutato?”, o ancora: “Che sensazione avranno avuto le persone mettendosi in fila allo sportello della banca mostrando il proprio documento dell’Est? Cosa pensavano sarebbe successo da lì in avanti nella loro vita? Cosa conoscevano dell’Ovest e che valore aveva il marco occidentale per loro, che fino ad allora non lo potevano spendere?”.

Queste sono state alcune delle domande che ci siamo trovati a fare alle persone, entrando nelle loro case, nelle loro vite, nelle loro storie di famiglia, e abbiamo avuto conferma che tutti hanno una memoria vivida di questo fatto e del giorno in cui sono andati in banca a ritirare i 100 marchi, coinciso a volte con il loro primo giorno a Ovest.

Le storie private che abbiamo raccolto parlano di un cambiamento che è andato ben oltre questo.

Il 9 novembre 1989 in Germania non cade soltanto il muro di Berlino, ma cambia un intero paese, ne scompare una parte – la Repubblica democratica tedesca viene unita a quella federale – e diciassette milioni di persone si trovano improvvisamente spinte verso una nuova vita, dove le regole di quella precedente non valgono più.
La DDR svanisce e le biografie del suo popolo restano divise in due, in un “prima” e un “dopo”, ibride tra due società che iniziano a convivere.

Le loro storie hanno ispessito la trama della Storia, di quella della DDR e della Germania, come anche della nostra e di quella globale. Nessuno di loro si è stupito che ci interessasse.
A distanza di trent’anni qualcuno è tornato per la prima volta con noi al punto esatto del confine in cui aveva tentato la fuga, qualcun altro ci ha mostrato la periferia berlinese dove è cresciuto, altri hanno ripensato a momenti di delusione, eccitazione, disorientamento. I figli ci hanno condotto dai genitori e con loro hanno discusso di quei momenti: oggi, a trent’anni da quel 1989, chi il muro l’ha visto costruire, chi ci ha convissuto e chi lo ha sempre dato per scontato convive con chi non l’ha mai visto. Le storie private hanno disegnato la mappa che ci ha guidato nei luoghi di una Berlino contemporanea complessa e stratificata.
È stata un’occasione, per loro come per noi, per condividere cronache e riflessioni su una storia recente che ci riguarda.

Il progetto è diventato una mostra itinerante e un libro realizzato dallo Studio Lupo Burtscher e edito da Silvana Editoriale

In mostra

30 ottobre 2019 – 6 gennaio 2020 / TORINO
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia | Project Room
Museo del Risparmio

9 novembre – 26 gennaio 2020 / TRENTO
Fondazione Museo storico del Trentino di Trento – Le Gallerie

18 gennaio 2019 – 22 marzo 2020 / PORDENONE
CRAF – Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia – Chiesa di San Lorenzo, San Vito al Tagliamento

“100DM” un libro di Elisa Del Prete e Tommaso Bonaventura

Tommaso Bonaventura / Elisa Del Prete
“100 DM”

“Ho due vite e una sola biografia” diceva Thomas Oberlender, drammaturgo originario della Germania Est.
Le immagini e i testi raccolti in questo volume indagano su queste doppie vite a partire dai cento marchi di benvenuto – il cosiddetto Begrüßungsgeld – offerti dalla Repubblica Federale Tedesca a ogni abitante proveniente dall’Est la prima volta in visita nel paese: un regalo altamente simbolico nella memoria di ogni persona nata nella DDR.
Il fotografo Tommaso Bonaventura e la curatrice Elisa Del Prete affrontano la complessità e l’unicità del cambiamento avvenuto con la scomparsa di questo Paese in un racconto plurale, dove la storia è intimamente mescolata alla vita dei singoli.

Progetto grafico Lupo Burtscher / edito da Silvana Editoriale

Angelo Bellobono “Linea Appennino 1201”

mostra personale ad AlbumArte - Roma

“Linea Appennino 1201” è la mostra personale di Angelo Bellobono in cui per la prima volta viene esposto un corpus di opere pittoriche che attraversa la sua ricerca artistica degli ultimi anni.

Realizzata appositamente per lo spazio di AlbumArte, la mostra prende nome dal percorso che l’artista ha compiuto lungo la dorsale appenninica, dal limite sud calabro-lucano del Pollino/Dolcedorme fino all’estremo nord del Monte Maggiorasca in Liguria, salendo le principali montagne di ogni regione italiana.

Ne è nato un nucleo di opere che l’artista ha realizzato con le terre originali di queste vette, tra cui Monte Appennino, un grande quadro in cui tutte si mescolano dando vita alla memoria di un monte immaginato.
“Linea Appennino 1201” si inserisce nella ricerca di Bellobono sul Mediterraneo inteso come un grande lago incastonato tra le montagne, per lui luogo di costante esperienza, lavoro e ricerca, da ragazzino, poi istruttore di sci, come da artista. In tal senso è anche uno sguardo sull’Italia interna, un percorso di memoria e immaginazione, un ponte tra nord e sud, che arricchisce l’esplorazione che da anni compie sulla connessione tra territori.

Quando è nata questa mostra Angelo mi ha espresso l’urgenza di esporre la sua pittura dopo molto tempo in cui il suo impegno espositivo pubblico si era concentrato invece su “progetti”, che erano indagini di territori, luoghi e origini, geologie e antropologie. La pittura è la parte più personale e privata di questa ricerca, l’espressione che ha ininterrottamente praticato per sostanziare d’arte tali esperienze. La pittura è – come dice spesso – un atto di restituzione, l’atto di restituzione della propria storia e della propria memoria. (Elisa Del Prete)

Dipingo per tornare a casa. La pittura è la mia mappa di sudore, vento, freddo, sole, salite e discese, è la costruzione del sentiero. (Angelo Bellobono)

angelobellobono.com

Flavio Favelli “Gli Angeli degli Eroi”

Gli Angeli degli Eroi

un progetto di Flavio Favelli

 

Gli Angeli degli Eroi è un progetto artistico che si propone di aprire una riflessione sullo stato di silenzio e di estraneità che vige sull’Esercito Italiano e le azioni del suo corpo armato.

L’Italia, a differenza di altri paesi europei, ha un rapporto contraddittorio e sofferto con le sue Forze Armate che, per lo più dimenticate, tornano protagoniste solo nei momenti più tragici grazie a i media che ci informano delle perdite di militari italiani in missione all’estero.

L’Esercito è spesso percepito come un ente estraneo e lontano per i cittadini.

Le polemiche sulle missioni in Iraq e Afghanistan hanno evidenziato questo distacco divenuto contraddittorio con la strage di Nasiriyya e la vicenda Sgrena-Calipari.

Le notizia dei militari caduti all’estero hanno dato ai soldati volti di persone normali, spesso giovani, con le loro storie quotidiane e le loro immagini. Ritratti in divisa ma anche nella vita civile e quotidiana, sono uomini che ancora oggi, in tempi che consideriamo nuovi e diversi rispetto a quelli di una guerra in corso, danno la vita per il Paese.

Parole desuete e lontane, termini come Patria, sacrificio, onore, dedizione, che si credevano scomparse per sempre, sono recitate dai Ministri della Difesa ai funerali di Stato…

Non esiste in Italia un luogo di memoria che rimandi alle perdite di militari italiani in periodo di pace. Gli Angeli degli Eroi i è una risposta spontanea a un’idea di “patria” che risuona ancora al sacrificio di uomini al “fronte”.

 

Gli Angeli degli Eroi è un grande semplice elenco, scritto a pittura su un muro della città, come è tradizione sulle lapidi commemorative, con i nomi dei militari italiani, al momento più di 220, caduti nelle missioni all’estero per la Patria nella storia della Repubblica, dalla prima vittima del 1950 fino ad oggi.

Richiamo al presente, l’opera Gli Angeli degli Eroi è un gesto semplice, riconoscibile, condivisibile e soprattutto sincronico.

L’opera è pensata come temporanea su un muro non verticale e dunque irraggiungibile, ma orizzontale, a portata di sguardo e di spalla. I nomi scorreranno accanto ai passanti e all’altezza delle macchine in strada, a contatto con la vita reale. La lista dipinta verrà forse imbrattata, danneggiata e avrà una sua fine, o un suo proseguimento solo se ci sarà qualcuno che, per propria volontà vorrà preservarla.

Come insegna la storia il luogo della memoria è prima di tutto il luogo stesso, ma in questo caso non esiste un unico luogo significativo per tutti i caduti, dunque è necessario individuarne uno che sia principalmente grande, visibile e accessibile. Il muro, in strada, è un luogo a metà tra pubblico e privato e rappresenta in se stesso il contesto ideale su cui far emergere riflessioni e questioni irrisolte. L’arte offre gli strumenti per farlo perchè porta in sé la cifra metaforica.

L’opera si propone come domanda non come risposta, come messa in discussione dell’idea di epigrafe stessa in quanto luogo commemorativo tradizionale, sentito ancora così necessario come baluardo di un’identità italiana.

 

Produzione in corso

 

Nel 2015 il progetto è stato accolto dal sindaco di Bologna, dal Ministero della Difesa e dalle Forze Armate.

Un prototipo è stato prodotto dal MAXXI ed esposto presso il museo di Roma durante la mostra Architettura in Uniforme nella primavera del 2015.

Il 18 giugno 2015 l’opera è stata celebrata col concerto della Banda Interforze del Ministero della Difesa alla presenza del Ministro Roberta Pinotti.

Il 4 novembre 2015, Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, nella Piazza del Quirinale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha reso omaggio ai Caduti nel corso delle missioni internazionali di pace, alla presenza dei rispettivi familiari, osservando un minuto di raccoglimento di fronte all’opera a loro dedicata Gli Angeli degli Eroi di Flavio Favelli.

Ad oggi il progetto è alla ricerca di un sito idoneo, a Bologna o altrove.
«Nel 2011 moriva in Afghanistan il militare Luca Sanna e i parenti al funerale scrissero una preghiera su un cartello in suo onore: CARO LUCA GRAZIE! GLI ANGELI DEGLI EROI TI SORRIDONO MENTRE TI FANNO LA SCORTA D’ONORE FINO ALLA LUCE DI DIO IN PARADISO!!! VIVA L’ITALIA. …Tutto mi e sembrato lontano ed estraneo guardando questa foto su un giornale eppure c’era qualcosa che mi chiamava, oltre alla bandiera e alla lingua usata che sono quelle del mio Paese. Altri 18 paesi democratici dell’area europea hanno avuto – solo in Afghanistan – quasi 900 morti. E prima c’era l’Iraq e il Kosovo, la Bosnia, la Somalia ma anche il Congo e il Libano…Gli Angeli degli Eroi vuole ricordare tutto questo.» (Flavio Favelli)

 

 

 

L’artista

Flavio Favelli nasce a Firenze nel 1967 e attualmente vive a Savigno (BO)._ Dopo la Laurea in Storia Orientale all’Università di Bologna, prende parte al Link Project (1995-2001) e inizia ad esporre in importanti spazi pubblici e privati in Italia e all’estero. Sue opere sono state acquisite da importanti collezioni private e pubbliche tra cui: GAM (To); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (To); MAMbo (Bo); Fondazione Furla (Bo); La Maison Rouge Fondation Antoine De Galbert (Parigi), Collezione La Gaia (Cn); Museo del ‘900 (Mi); MACRO (Rm); MAXXI (Rm); Nomas Foundation (Rm); Collezione Anita Zabludowicz (Londra); Collezione Elgiz (Istanbul); Collezione Unicredit Banca.

Recentemente parte della sua ricerca si è orientata alla pittura murale cercando nel supoorto del muro cittadino quella soglia tra privato e pubblico che permette la traduzione collettiva di un immaginario personale che però viene da un ricordo comune.

 

Da sempre ho dovuto vivere fra due mondi diversi, quasi opposti che appena si lambivano scoppiavano, lasciando macerie e ferite, ma anche -a guardare bene- polvere colorata e fumi seducenti. Il mondo di mio padre, quello che rifletteva il Paese degli anni 70, col cine, il self- service, i festival e le serate a Montecatini, la citta nella notte, i manifesti della politica, della pubblicita, le insegne luminose di Riccione e le locandine dei film a luci rosse. E il mondo dei miei nonni, morbido come il velluto verde reseda del divano della loro sala ma anche austero come il loro guardaroba. E in mezzo mia madre che voleva uscire da questa morsa con l’Arte, con l’amore per il bello. Cercava, invano, un’arte che salvasse. I due cosmi distanti avevano in comune gli oggetti quotidiani che erano i loro oracoli. Se nel mondo dei miei nonni il manufatto con la sua perizia artigiana raccontava un tempo con le sue leggi e le sue idee, nel pianeta di mio padre, l’oggetto, oramai sfacciatamente pubblicitario esplodeva invadendo ogni angolo di vita privata. Mio padre chiamava alcune cose col nome di marchi registrati. Accadeva cosi che giocavo con le marche e i loghi. Gli adesivi e le figurine stavano arrivando. Avevo 7 anni e presi in prestito i NO e i Si che vedevo nei manifesti del referendum sul divorzio del 1974 per collocarli in una classifica immaginaria della mia vita. Dicevo piu Si o No? Mia madre era piu Si o NO? In qualche modo assumevo e miscelavo insieme alle mie immagini, le scritte, le reclam, gli slogan, il mondo della televisione, le insegne al neon; la grande energia e le grandi tensioni politiche di quegli anni insieme alla mia situazione familiare hanno prodotto nella mia mente un grande archivio infinito di ricordi e figure che non mi lasciano mai. In un libro sugli avvenimenti della fine degli anni settanta a Bologna c’e una foto del giugno 1978 con disordini e polizia e sopra, in alto sospeso, uno stendardo con una grafica spinta e audace: Arte Fiera 78.

Alterazioni Video “FORZA UOVA”

un progetto diffuso sui Turbo Film

“FORZA UOVA” è la prima mostra a Bologna di Alterazioni Video, a cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi, promossa da ART CITY Bologna 2019 in occasione di Arte Fiera, un’incursione inedita sulle ultime produzioni “Turbo Film” del collettivo italiano, che si propone non soltanto come esperienza espositiva bensì come vera e propria immersione nella pratica artistica del collettivo.

Hai presente quando ti arriva un Super Tele in faccia? Il primo istinto è bucarlo ma poi ti ritrovi in piazzetta a tirare punizioni. Il Turbo Film è l’equivalente di una pallonata o di una banca che brucia o di un bacio inaspettato, magari di un tipo sudato e con la barba. (Alterazioni Video)

Il Turbo Film è un genere cinematografico che si pone tra gli spaghetti western e il neorealismo di YouTube. Spesso improvvisato e partecipato, si richiama agli albori del cinema mantenendo le sue radici nell’arte contemporanea. In queste video produzioni, che nascono da occasioni estemporanee, impreviste e si caratterizzano per la bassa definizione, il coinvolgimento di persone sconosciute o appena conosciute, il fotomontaggio, la natura indefinita e mai conclusa, convivono e confliggono il glitterato mondo fashion e la speculazione geopolitica, storie minime, mondi e culture che un tempo si sarebbero detti underground.

Cuore del progetto è l’installazione “FORZA UOVA”, creata appositamente per la sede speciale di Voxel, dove video, sculture e oggetti di scena compongono un cluster delle ultime produzioni Turbo Film con un affondo ironico sul tema delle fake news, oggetto del loro ultimo “Guerra e Pace” girato a Mosca nell’autunno 2018, che sarà poi proiettato al Cinema Medica Palace durante l’Art White Night in occasione del cinema event con  l’ospite d’eccezione Petr Bystrov, direttamente dalla Russia, che assieme agli artisti guiderà il pubblico in una lezione di educazione all’autodisciplina.

Il programma:

Alterazioni Video
FORZA UOVA
A cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi

@ Voxel | via di Corticella 56, Bologna
venerdì 1 febbraio 2019
opening mostra e brunch, ore 11-14
festa, ore 21 – 1

La mostra presso Voxel si potrà visitare
da giovedì 31 gennaio a domenica 3 febbraio 2019
dalle ore 10 alle ore 20

Eventi

Cinema Event TurboFilm
@ Cinema Medica Palace | via Monte Grappa 9, Bologna
sabato 2 febbraio 2019, dalle ore 23.23
biglietto intero 8 euro con possibilità di acquisto in prevendita fino al 30 gennaio a 3 euro
riduzione con biglietto Arte Fiera 5 euro

TurboFilm a colazione con presentazione di Lorenzo Balbi
@ Cinema Medica Palace | via Monte Grappa 9, Bologna
domenica 3 febbraio 2019, ore 12.00
biglietto intero 10 euro comprensivo di colazione
con possibilità di acquisto in prevendita fino al 30 gennaio a 5 euro
riduzione con biglietto Arte Fiera 7 euro

Presentazione del libro Incompiuto. La nascita di uno stile (Humboldt Books) con Alterazioni Video
e FOSBURY ARCHITECTURE in dialogo con Silvia Litardi
@ Fruit Exhibition | Palazzo Isolani, Corte Isolani 5, Bologna
sabato 2 febbraio 2019, ore 16.00
ingresso libero

Promosso da ART CITY Bologna 2019

alterazionivideo.com

Flavio Favelli “Serie Imperiale”

Serie Imperiale è il titolo che l’artista Flavio Favelli ha dato alla sua prima opera per Valsamoggia, suo territorio d’adozione, vincitrice della seconda edizione di Italian Council 2017 (Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane – Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo).

A cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi e promosso da NOS su commissione pubblica della Fondazione Rocca dei Bentivoglio (Valsamoggia, Bologna), “Serie Imperiale” è un nuovo lavoro dell’artista che si compone di tre fasi di realizzazione (pittura, strappo, otturazione), di una documentazione immersiva a 360° delle opere site specific e di una pubblicazione finale.

Serie Imperiale è il nome di una serie di francobolli di valori diversi emessi nel 1929 e in uso fino al 1946, su cui è rappresentato il volto di Vittorio Emanuele III. Di questa, i due francobolli scelti a soggetto dell’opera hanno subìto una “sovrastampa”: vi è stato apposto un timbro che, alterando le sembianze del sovrano, serviva a decretare un diverso stato di appartenenza del francobollo. In particolare la Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione tedesca del territorio di Zara dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

Con Serie Imperiale Flavio Favelli, classe ’67, fa emergere un periodo preciso dell’Italia, un capitolo di storia problematico per il Paese. Al tempo stesso l’opera ha un’origine fortemente biografica e incarna la pratica artistica attraverso cui Favelli realizza assemblaggi, collage, sculture e ambienti a partire da documenti e frammenti di uso quotidiano (dai francobolli ad altri semplici oggetti, suppellettili, involucri, arredi, insegne), che recupera o acquista con sistematicità in quanto parte di una sua memoria, per riconfigurarli in immagini poetiche.

In linea con la sua ricerca attuale sui murali, il doppio intervento site specific di Serie Imperiale, presso la ex Casa del Popolo e la ex miniCoop a Bazzano, presenta una pittura su muro in interno che si pone in stretta relazione con due contesti carichi di immagini e storia. Parte di un unico complesso architettonico, i due luoghi contengono in quel “ex” uno stato di passaggio che parla di una trasformazione in corso non solo strutturale, ma culturale e sociale, e di un territorio in cui impegno politico, impresa cooperativa e socialità sono chiamati ad interrogarsi sul proprio presente e futuro.

Alla fase di pittura seguirà quella dello strappo (a cura del Laboratorio di restauro Camillo Tarozzi) attraverso cui i due murali, in mostra fino al 3 giugno nel loro contesto specifico, verranno trasferiti su tela, resi “mobili” e “nobili” una volta acquisita l’investitura di “quadro”, anzi, di vero e proprio “dittico”.

Con un intervento di otturazione, infine, una volta rimasti soltanto i negativi dello strappo, Favelli completerà l’opera con un semplice gesto di stuccatura e rattoppo, che lasci traccia del processo che ha avuto luogo consacrando con l’atto artistico i due muri.

L’otturazione coincide con l’origine stessa dell’atto artistico. Occuparsi di quei due buchi in due luoghi considerati “squallidi”, pone l’accento sul fatto che l’artista ha un punto di vista differente, vede il bello dove di solito il costume del suo tempo non lo vede perché è un bello che passa per il pensiero e quindi diverso. (FF)

L’opera Serie Imperiale sarà documentata tramite una fotografia immersiva, a cura della giovane impresa DeyeVR, che, riproducendola in realtà virtuale nelle sedi originali ne diventerà parte integrante, conservandone per sempre l’esperienza.

A documentazione dell’intero progetto sarà realizzata una pubblicazione edita da Corraini Edizioni che sarà presentata il 20 ottobre 2018 presso la sala dei Giganti della Rocca dei Bentivoglio di Bazzano in occasione dell’inaugurazione del dittico finale, che rimarrà in mostra fino al 18 novembre 2018.

Nel 2019 l’opera sarà presentata a Bruxelles in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura.

Flavio Favelli vive e lavora a Savigno (Bologna). Dopo la Laurea in Storia Orientale all’Università di Bologna, prende parte al Link Project (1995-2001). Ha esposto con progetti personali al MAXXI di Roma, al Centro per l’Arte Pecci di Prato, alla Fondazione Sandretto di Torino, alla Maison Rouge di Parigi e al 176 Projectspace di Londra. Partecipa alla mostra “Italics” a Palazzo Grassi nel 2008 e a due Biennali di Venezia: la 50° (“Clandestini”, a cura di F. Bonami) e la 55° (Padiglione Italia a cura di B. Pietromarchi). Nel 2015 l’opera Gli Angeli degli Eroi viene scelta dal Quirinale per commemorare i militari caduti nella ricorrenza del 4 Novembre.

Flavio Favelli “Serie Imperiale”
un’opera a cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi

Pittura. 24 marzo – 3 giugno 2018
ex miniCoop e Casa del Popolo / Valsamoggia – località Bazzano (Bologna)

Strappo e Otturazione. 4 giugno – 30 luglio 2018
Tavola Rotonda di presentazione del catalogo. 20 ottobre 2018

Dittico. L’opera finale in mostra. 20 ottobre – 18 novembre 2018

“Serie Imperiale”
è realizzata grazie al sostegno di
Italian Council

e promossa da
Nosadella.due
Fondazione Rocca dei Bentivoglio

con la collaborazione di
Laboratorio di restauro Camillo Tarozzi
DeyeVR

Partner
Comune di Valsamoggia
NOS

Sponsor tecnici
Coop Alleanza 3.0
Number 1

Media Partner
Rai Radio3
Artribune

Ufficio stampa
Sara Zolla

Catalogo
Corraini Edizioni

 

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In quel bacio dove nasce l’orizzonte

Il testo "In quel bacio dove nasce l'orizzonte" è un contributo alla pubblicazione Giovanni Ozzola, "Fallen Blossom", a cura di Davide Ferri, Gli Ori, 2018

In quel bacio dove nasce l’orizzonte

Guardare l’orizzonte ha un fascino arcano.
L’orizzonte è l’ultima destinazione dello sguardo, il grado ultimo della visibilità, il punto in cui la nostra visione si arresta.
Quando si sale su una montagna, su una torre, su un tetto…è la possibilità di allungarsi a un orizzonte ancora più lontano che ci seduce.
Destinazione dell’occhio e non del corpo esso esiste non in quanto meta fisica bensì visiva.
Esso richiede allo sguardo di attraversare una distanza tra il corpo e la vista. L’orizzonte è un luogo che contiene tutto ciò che accade prima, che ci accoglie come il proscenio di un teatro.
L’orizzonte è distanza. L’orizzonte è una distanza che ci proietta oltre, una forza che ci risucchia in una direzione precisa, definendo le coordinate del nostro sguardo.

La prospettiva rinascimentale ha inventato una rappresentazione di questo spazio di distanza tra chi guarda e il punto più lontano della visione. Ha definito il “punto di fuga” includendo in questa definizione proprio un’azione di movimento per cui l’occhio fugge, corre lungo traiettorie che organizzano con ordine tutto lo spazio dell’immagine. L’arte moderna, poi, ha fatto di questo tema un punto forte di rottura, liberando l’immagine dalla necessità di quell’ordine prestabilito e mettendo in discussione i piani per portare l’attenzione sempre più sulla superficie, su dettagli e impressioni, pennellate ed effetti, fino a sdoganare la possibilità di una non-rappresentazione, in quella che definiamo generalmente “arte astratta”. La modernità ha riportato tutto all’immediata prossimità dello sguardo, l’orizzonte è diventato il quadro stesso.
La fotografia, tra le conquiste della modernità, ha rimesso insieme le due visioni, ordine e disordine, prossimità e distanza. Una fotografia è una finestra che ci fa correre lungo le profondità della realtà, ma vive al tempo stesso dell’intensità della superficie, della sua vincolante bidimensione, di una lettura destra-sinistra e alto-basso che trova però intervalli di attraversamento.
E’ compito esatto del fotografo attivare forze interne all’immagine affinché la lettura della superficie incontri traiettorie di penetrazione.

Le immagini cui ci pone davanti Giovanni Ozzola sono esattamente questo, luoghi da attraversare volgendo lo sguardo a un orizzonte. Il piano ravvicinato che sta addosso a chi guarda, la stanza o il paesaggio in cui ci si trova, la preziosità dei dettagli, invitano lo sguardo a non sostare, ad allungarsi oltre, a un piano ulteriore, fino al suo massimo grado, trasformando l’esperienza della visione in quella dell’attraversamento e la contemplazione in trapasso.
L’immagine diventa luogo della distanza, sguardo verso un orizzonte, un’immagine da leggere da qui, di fronte ad essa, a là, oltre ciò che si guarda. In essa è viva una tensione che ci conduce verso un punto di destinazione che non si trova in superficie ma va proiettato oltre l’immagine stessa.
Il soggetto diventa luogo di transito, un pretesto per generare un viaggio.

Questa piccola urna, dal titolo Sedimenti-memorie, con il tesoro che racchiude, è dunque un varco da attraversare. La luce che ne proviene non definisce profili, non è lì per far emergere le forme dal buio, al contrario, per far sì che lo sguardo passi oltre. E’ un richiamo ad un qualcosa che sta avvenendo al di là di quel vetro che offusca le sagome, qualcosa di vivo, rispetto alla natura morta che ci troviamo di fronte. Più che un omaggio alle bottiglie di Giorgio Morandi diventa dunque uno still life (e penso qui anche alla serie di Still Life di Luigi Ghirri) che confina quel “quadro” a un suo spazio. Immerso in un’oscurità non giustificata non ci è concesso di approfondirne i toni o di studiarne gli equilibri compostivi, non siamo invitati ad immergerci in un’atmosfera. La cornice di buio così come il ricciolo di un’antica sedia in primo piano ci tengono allertati, ci rendono consapevoli della nostra posizione di spettatori definendo con precisione i vari piani dell’immagine.
Da qui a lì, anzi a laggiù, oltre quel vetro, oltre quel quadro, questo scatto crea uno spazio da percorrere, non più sulla sua superficie ma penetrando la sua profondità. Dalla sagoma in evidenza che dall’ombra emerge solo dopo un primo sguardo, dal fuoco centrale di quel vetro, l’immagine prende un’altra forma, si allarga e si organizza per risucchiarci laggiù.
Non è lì, al centro, che ha luogo l’accadimento cui siamo invitati ad assistere, bensì oltre quel quadro, laddove un colpo di luce incontra una macchia scura e in quel bacio fa nascere un orizzonte.

Improvvisamente il nostro sguardo si distrae dai vasi e viene catturato da quell’istante di luce che dall’alto arriva a benedire una scena che non ci è dato vedere.
Sedimenti-memorie è per me un’epifania.
Rivolta a un altare carico di ornamenti, quasi prendessi parte a un rituale iniziatico al cospetto di una mensa sacrificale su cui l’immagine viene immolata, una forza interna mi conduce verso un nuovo viaggio che mi distrae da ciò che immediatamente riconoscono per farmi innamorare di quell’ignoto che all’orizzonte posso solo indistintamente percepire.

Ogni immagine che si deposita allo sguardo è immediatamente passata a favore di un presente che si rinnova. Ogni immagine scandisce il passare del tempo. E la fotografia nasce proprio per questo, traslare la memoria del reale. Ogni immagine fotografica sacrifica tutto ciò che le sta attorno, diventando un frammento astratto e sospeso ma consegnandosi al tempo come fonte d’azione che fa avanzare, traghettare, trasmettere, la memoria. Qui assistiamo proprio a questo processo di trapasso del tempo, e laddove, laggiù, la luce viene nuovamente catturata, nasce un nuovo orizzonte incerto.
Ogni scatto, nel lavoro di Ozzola, è un invito a sporgersi fino a là. Quel racconto che ha inizio dietro di noi, quando la sedia non è più visibile, ci transita verso una nuova destinazione, uno spazio sacro e divino, insondabile. Sedimenti-memorie è un valico in cui il tempo si consuma nel corso di uno sguardo. E in quello sguardo l’immagine immortalata si immola al tempo lasciando l’unica via di fuga laggiù dove l’orizzonte si consuma. In mezzo tutto è già accaduto, eppure è lì sotto il nostro sguardo, e accade nuovamente.