“100 DM” un progetto in collaborazione con Tommaso Bonaventura

una ricerca, una mostra e un libro

“100 marchi – Berlino 2019” è un progetto realizzato in collaborazione col fotografo Tommaso Bonaventura in occasione dei 30 anni dalla caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989). Privilegiando le storie private e familiari, a partire dalla vicenda del Begrüssungsgeld il progetto si interroga su un cambiamento epocale proponendosi di restituirne la complessità in un racconto fotografico e testuale.

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Il Begrüßungsgeld (“denaro di benvenuto”) è il dono che dal 1970 fino al dicembre 1989 la Repubblica federale tedesca offriva a ogni abitante proveniente dalla Repubblica democratica tedesca la prima volta in visita nel paese.
La cifra e le modalità di erogazione sono variate nel tempo fino a quando è stata stabilita un’unica soluzione, del valore di 100 DM (Deutsche Mark), corrispondenti a circa 60 euro di oggi.
Dopo la caduta del muro di Berlino migliaia di persone della Germania Est si sono messe in fila nelle banche occidentali per ritirare i 100 marchi dell’Ovest che spettavano a ogni cittadino provvisto di documento.

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Ci siamo posti una domanda apparentemente semplice, “Come avranno speso le persone i soldi del Begrüßungsgeld?”, e a Berlino abbiamo lavorato nel corso di due anni cercando di verificare se e come questo evento simbolico avesse segnato l’inizio di un una nuova centralità del denaro nelle vite dei cittadini della DDR.

In realtà fin da quando ce la siamo posta ci siamo resi conto che questa semplice domanda apriva a una molteplicità di considerazioni tale da corredarsi immediatamente di molte altre, tipo: “Tutti avranno ritirato questo denaro di benvenuto o qualcuno l’avrà rifiutato?”, o ancora: “Che sensazione avranno avuto le persone mettendosi in fila allo sportello della banca mostrando il proprio documento dell’Est? Cosa pensavano sarebbe successo da lì in avanti nella loro vita? Cosa conoscevano dell’Ovest e che valore aveva il marco occidentale per loro, che fino ad allora non lo potevano spendere?”.

Queste sono state alcune delle domande che ci siamo trovati a fare alle persone, entrando nelle loro case, nelle loro vite, nelle loro storie di famiglia, e abbiamo avuto conferma che tutti hanno una memoria vivida di questo fatto e del giorno in cui sono andati in banca a ritirare i 100 marchi, coinciso a volte con il loro primo giorno a Ovest.

Le storie private che abbiamo raccolto parlano di un cambiamento che è andato ben oltre questo.

Il 9 novembre 1989 in Germania non cade soltanto il muro di Berlino, ma cambia un intero paese, ne scompare una parte – la Repubblica democratica tedesca viene unita a quella federale – e diciassette milioni di persone si trovano improvvisamente spinte verso una nuova vita, dove le regole di quella precedente non valgono più.
La DDR svanisce e le biografie del suo popolo restano divise in due, in un “prima” e un “dopo”, ibride tra due società che iniziano a convivere.

Le loro storie hanno ispessito la trama della Storia, di quella della DDR e della Germania, come anche della nostra e di quella globale. Nessuno di loro si è stupito che ci interessasse.
A distanza di trent’anni qualcuno è tornato per la prima volta con noi al punto esatto del confine in cui aveva tentato la fuga, qualcun altro ci ha mostrato la periferia berlinese dove è cresciuto, altri hanno ripensato a momenti di delusione, eccitazione, disorientamento. I figli ci hanno condotto dai genitori e con loro hanno discusso di quei momenti: oggi, a trent’anni da quel 1989, chi il muro l’ha visto costruire, chi ci ha convissuto e chi lo ha sempre dato per scontato convive con chi non l’ha mai visto. Le storie private hanno disegnato la mappa che ci ha guidato nei luoghi di una Berlino contemporanea complessa e stratificata.
È stata un’occasione, per loro come per noi, per condividere cronache e riflessioni su una storia recente che ci riguarda.

Il progetto è diventato una mostra itinerante e un libro realizzato dallo Studio Lupo Burtscher e edito da Silvana Editoriale

In mostra

30 ottobre 2019 – 6 gennaio 2020 / TORINO
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia | Project Room
Museo del Risparmio

9 novembre – 26 gennaio 2020 / TRENTO
Fondazione Museo storico del Trentino di Trento – Le Gallerie

18 gennaio 2019 – 22 marzo 2020 / PORDENONE
CRAF – Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia – Chiesa di San Lorenzo, San Vito al Tagliamento

Flavio Favelli “Gli Angeli degli Eroi”

Gli Angeli degli Eroi

un progetto di Flavio Favelli

 

Gli Angeli degli Eroi è un progetto artistico che si propone di aprire una riflessione sullo stato di silenzio e di estraneità che vige sull’Esercito Italiano e le azioni del suo corpo armato.

L’Italia, a differenza di altri paesi europei, ha un rapporto contraddittorio e sofferto con le sue Forze Armate che, per lo più dimenticate, tornano protagoniste solo nei momenti più tragici grazie a i media che ci informano delle perdite di militari italiani in missione all’estero.

L’Esercito è spesso percepito come un ente estraneo e lontano per i cittadini.

Le polemiche sulle missioni in Iraq e Afghanistan hanno evidenziato questo distacco divenuto contraddittorio con la strage di Nasiriyya e la vicenda Sgrena-Calipari.

Le notizia dei militari caduti all’estero hanno dato ai soldati volti di persone normali, spesso giovani, con le loro storie quotidiane e le loro immagini. Ritratti in divisa ma anche nella vita civile e quotidiana, sono uomini che ancora oggi, in tempi che consideriamo nuovi e diversi rispetto a quelli di una guerra in corso, danno la vita per il Paese.

Parole desuete e lontane, termini come Patria, sacrificio, onore, dedizione, che si credevano scomparse per sempre, sono recitate dai Ministri della Difesa ai funerali di Stato…

Non esiste in Italia un luogo di memoria che rimandi alle perdite di militari italiani in periodo di pace. Gli Angeli degli Eroi i è una risposta spontanea a un’idea di “patria” che risuona ancora al sacrificio di uomini al “fronte”.

 

Gli Angeli degli Eroi è un grande semplice elenco, scritto a pittura su un muro della città, come è tradizione sulle lapidi commemorative, con i nomi dei militari italiani, al momento più di 220, caduti nelle missioni all’estero per la Patria nella storia della Repubblica, dalla prima vittima del 1950 fino ad oggi.

Richiamo al presente, l’opera Gli Angeli degli Eroi è un gesto semplice, riconoscibile, condivisibile e soprattutto sincronico.

L’opera è pensata come temporanea su un muro non verticale e dunque irraggiungibile, ma orizzontale, a portata di sguardo e di spalla. I nomi scorreranno accanto ai passanti e all’altezza delle macchine in strada, a contatto con la vita reale. La lista dipinta verrà forse imbrattata, danneggiata e avrà una sua fine, o un suo proseguimento solo se ci sarà qualcuno che, per propria volontà vorrà preservarla.

Come insegna la storia il luogo della memoria è prima di tutto il luogo stesso, ma in questo caso non esiste un unico luogo significativo per tutti i caduti, dunque è necessario individuarne uno che sia principalmente grande, visibile e accessibile. Il muro, in strada, è un luogo a metà tra pubblico e privato e rappresenta in se stesso il contesto ideale su cui far emergere riflessioni e questioni irrisolte. L’arte offre gli strumenti per farlo perchè porta in sé la cifra metaforica.

L’opera si propone come domanda non come risposta, come messa in discussione dell’idea di epigrafe stessa in quanto luogo commemorativo tradizionale, sentito ancora così necessario come baluardo di un’identità italiana.

 

Produzione in corso

 

Nel 2015 il progetto è stato accolto dal sindaco di Bologna, dal Ministero della Difesa e dalle Forze Armate.

Un prototipo è stato prodotto dal MAXXI ed esposto presso il museo di Roma durante la mostra Architettura in Uniforme nella primavera del 2015.

Il 18 giugno 2015 l’opera è stata celebrata col concerto della Banda Interforze del Ministero della Difesa alla presenza del Ministro Roberta Pinotti.

Il 4 novembre 2015, Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, nella Piazza del Quirinale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha reso omaggio ai Caduti nel corso delle missioni internazionali di pace, alla presenza dei rispettivi familiari, osservando un minuto di raccoglimento di fronte all’opera a loro dedicata Gli Angeli degli Eroi di Flavio Favelli.

Ad oggi il progetto è alla ricerca di un sito idoneo, a Bologna o altrove.
«Nel 2011 moriva in Afghanistan il militare Luca Sanna e i parenti al funerale scrissero una preghiera su un cartello in suo onore: CARO LUCA GRAZIE! GLI ANGELI DEGLI EROI TI SORRIDONO MENTRE TI FANNO LA SCORTA D’ONORE FINO ALLA LUCE DI DIO IN PARADISO!!! VIVA L’ITALIA. …Tutto mi e sembrato lontano ed estraneo guardando questa foto su un giornale eppure c’era qualcosa che mi chiamava, oltre alla bandiera e alla lingua usata che sono quelle del mio Paese. Altri 18 paesi democratici dell’area europea hanno avuto – solo in Afghanistan – quasi 900 morti. E prima c’era l’Iraq e il Kosovo, la Bosnia, la Somalia ma anche il Congo e il Libano…Gli Angeli degli Eroi vuole ricordare tutto questo.» (Flavio Favelli)

 

 

 

L’artista

Flavio Favelli nasce a Firenze nel 1967 e attualmente vive a Savigno (BO)._ Dopo la Laurea in Storia Orientale all’Università di Bologna, prende parte al Link Project (1995-2001) e inizia ad esporre in importanti spazi pubblici e privati in Italia e all’estero. Sue opere sono state acquisite da importanti collezioni private e pubbliche tra cui: GAM (To); Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (To); MAMbo (Bo); Fondazione Furla (Bo); La Maison Rouge Fondation Antoine De Galbert (Parigi), Collezione La Gaia (Cn); Museo del ‘900 (Mi); MACRO (Rm); MAXXI (Rm); Nomas Foundation (Rm); Collezione Anita Zabludowicz (Londra); Collezione Elgiz (Istanbul); Collezione Unicredit Banca.

Recentemente parte della sua ricerca si è orientata alla pittura murale cercando nel supoorto del muro cittadino quella soglia tra privato e pubblico che permette la traduzione collettiva di un immaginario personale che però viene da un ricordo comune.

 

Da sempre ho dovuto vivere fra due mondi diversi, quasi opposti che appena si lambivano scoppiavano, lasciando macerie e ferite, ma anche -a guardare bene- polvere colorata e fumi seducenti. Il mondo di mio padre, quello che rifletteva il Paese degli anni 70, col cine, il self- service, i festival e le serate a Montecatini, la citta nella notte, i manifesti della politica, della pubblicita, le insegne luminose di Riccione e le locandine dei film a luci rosse. E il mondo dei miei nonni, morbido come il velluto verde reseda del divano della loro sala ma anche austero come il loro guardaroba. E in mezzo mia madre che voleva uscire da questa morsa con l’Arte, con l’amore per il bello. Cercava, invano, un’arte che salvasse. I due cosmi distanti avevano in comune gli oggetti quotidiani che erano i loro oracoli. Se nel mondo dei miei nonni il manufatto con la sua perizia artigiana raccontava un tempo con le sue leggi e le sue idee, nel pianeta di mio padre, l’oggetto, oramai sfacciatamente pubblicitario esplodeva invadendo ogni angolo di vita privata. Mio padre chiamava alcune cose col nome di marchi registrati. Accadeva cosi che giocavo con le marche e i loghi. Gli adesivi e le figurine stavano arrivando. Avevo 7 anni e presi in prestito i NO e i Si che vedevo nei manifesti del referendum sul divorzio del 1974 per collocarli in una classifica immaginaria della mia vita. Dicevo piu Si o No? Mia madre era piu Si o NO? In qualche modo assumevo e miscelavo insieme alle mie immagini, le scritte, le reclam, gli slogan, il mondo della televisione, le insegne al neon; la grande energia e le grandi tensioni politiche di quegli anni insieme alla mia situazione familiare hanno prodotto nella mia mente un grande archivio infinito di ricordi e figure che non mi lasciano mai. In un libro sugli avvenimenti della fine degli anni settanta a Bologna c’e una foto del giugno 1978 con disordini e polizia e sopra, in alto sospeso, uno stendardo con una grafica spinta e audace: Arte Fiera 78.

Flavio Favelli “Serie Imperiale”

Serie Imperiale è il titolo che l’artista Flavio Favelli ha dato alla sua prima opera per Valsamoggia, suo territorio d’adozione, vincitrice della seconda edizione di Italian Council 2017 (Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane – Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo).

A cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi e promosso da NOS su commissione pubblica della Fondazione Rocca dei Bentivoglio (Valsamoggia, Bologna), “Serie Imperiale” è un nuovo lavoro dell’artista che si compone di tre fasi di realizzazione (pittura, strappo, otturazione), di una documentazione immersiva a 360° delle opere site specific e di una pubblicazione finale.

Serie Imperiale è il nome di una serie di francobolli di valori diversi emessi nel 1929 e in uso fino al 1946, su cui è rappresentato il volto di Vittorio Emanuele III. Di questa, i due francobolli scelti a soggetto dell’opera hanno subìto una “sovrastampa”: vi è stato apposto un timbro che, alterando le sembianze del sovrano, serviva a decretare un diverso stato di appartenenza del francobollo. In particolare la Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione tedesca del territorio di Zara dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

Con Serie Imperiale Flavio Favelli, classe ’67, fa emergere un periodo preciso dell’Italia, un capitolo di storia problematico per il Paese. Al tempo stesso l’opera ha un’origine fortemente biografica e incarna la pratica artistica attraverso cui Favelli realizza assemblaggi, collage, sculture e ambienti a partire da documenti e frammenti di uso quotidiano (dai francobolli ad altri semplici oggetti, suppellettili, involucri, arredi, insegne), che recupera o acquista con sistematicità in quanto parte di una sua memoria, per riconfigurarli in immagini poetiche.

In linea con la sua ricerca attuale sui murali, il doppio intervento site specific di Serie Imperiale, presso la ex Casa del Popolo e la ex miniCoop a Bazzano, presenta una pittura su muro in interno che si pone in stretta relazione con due contesti carichi di immagini e storia. Parte di un unico complesso architettonico, i due luoghi contengono in quel “ex” uno stato di passaggio che parla di una trasformazione in corso non solo strutturale, ma culturale e sociale, e di un territorio in cui impegno politico, impresa cooperativa e socialità sono chiamati ad interrogarsi sul proprio presente e futuro.

Alla fase di pittura seguirà quella dello strappo (a cura del Laboratorio di restauro Camillo Tarozzi) attraverso cui i due murali, in mostra fino al 3 giugno nel loro contesto specifico, verranno trasferiti su tela, resi “mobili” e “nobili” una volta acquisita l’investitura di “quadro”, anzi, di vero e proprio “dittico”.

Con un intervento di otturazione, infine, una volta rimasti soltanto i negativi dello strappo, Favelli completerà l’opera con un semplice gesto di stuccatura e rattoppo, che lasci traccia del processo che ha avuto luogo consacrando con l’atto artistico i due muri.

L’otturazione coincide con l’origine stessa dell’atto artistico. Occuparsi di quei due buchi in due luoghi considerati “squallidi”, pone l’accento sul fatto che l’artista ha un punto di vista differente, vede il bello dove di solito il costume del suo tempo non lo vede perché è un bello che passa per il pensiero e quindi diverso. (FF)

L’opera Serie Imperiale sarà documentata tramite una fotografia immersiva, a cura della giovane impresa DeyeVR, che, riproducendola in realtà virtuale nelle sedi originali ne diventerà parte integrante, conservandone per sempre l’esperienza.

A documentazione dell’intero progetto sarà realizzata una pubblicazione edita da Corraini Edizioni che sarà presentata il 20 ottobre 2018 presso la sala dei Giganti della Rocca dei Bentivoglio di Bazzano in occasione dell’inaugurazione del dittico finale, che rimarrà in mostra fino al 18 novembre 2018.

Nel 2019 l’opera sarà presentata a Bruxelles in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura.

Flavio Favelli vive e lavora a Savigno (Bologna). Dopo la Laurea in Storia Orientale all’Università di Bologna, prende parte al Link Project (1995-2001). Ha esposto con progetti personali al MAXXI di Roma, al Centro per l’Arte Pecci di Prato, alla Fondazione Sandretto di Torino, alla Maison Rouge di Parigi e al 176 Projectspace di Londra. Partecipa alla mostra “Italics” a Palazzo Grassi nel 2008 e a due Biennali di Venezia: la 50° (“Clandestini”, a cura di F. Bonami) e la 55° (Padiglione Italia a cura di B. Pietromarchi). Nel 2015 l’opera Gli Angeli degli Eroi viene scelta dal Quirinale per commemorare i militari caduti nella ricorrenza del 4 Novembre.

Flavio Favelli “Serie Imperiale”
un’opera a cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi

Pittura. 24 marzo – 3 giugno 2018
ex miniCoop e Casa del Popolo / Valsamoggia – località Bazzano (Bologna)

Strappo e Otturazione. 4 giugno – 30 luglio 2018
Tavola Rotonda di presentazione del catalogo. 20 ottobre 2018

Dittico. L’opera finale in mostra. 20 ottobre – 18 novembre 2018

“Serie Imperiale”
è realizzata grazie al sostegno di
Italian Council

e promossa da
Nosadella.due
Fondazione Rocca dei Bentivoglio

con la collaborazione di
Laboratorio di restauro Camillo Tarozzi
DeyeVR

Partner
Comune di Valsamoggia
NOS

Sponsor tecnici
Coop Alleanza 3.0
Number 1

Media Partner
Rai Radio3
Artribune

Ufficio stampa
Sara Zolla

Catalogo
Corraini Edizioni

 

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Iza Rutkowska “The Cuddly”

Un progetto artistico per lo spazio pubblico

The Cuddly è un progetto itinerante dell’artista polacca Iza Rutkowska, fondatrice della Fundacja Form i Kształtów di Varsavia. Dopo la prima tappa nella capitale polaccaha toccato le città di Sao Miguel Graz (P), Graz (AT), Roma (I) e Bologna (I). Qui Nosadella.due ha promosso una serie di interventi nello spazio pubblico toccando dieci luoghi specifici della città di Bologna, dal centro alla periferia.

Si tratta di un imponente ma simpatico orso di stoffa di 200 chili in viaggio per il mondo per incontrare persone di ogni luogo, età e lingua. Compare per un breve lasso di tempo in luoghi di frequentazione pubblica pronto ad entrare a far parte della comunità, ad abbracciare i passanti, a lasciare un’insolita e bizzarra memoria.

The Cuddly è una scultura morbida, mobile e vivente che si pone in alternativa al monumento tradizionale di pietra o cemento, fisso e parte innegabile della realtà quotidiana. Si trova spesso sulla strada per andare a scuola o al lavoro o nei luoghi di svago, e qui invita le persone a interagire, ponendosi come tramite anche rispetto allo spazio circostante.

«L’Italia è uno dei paesi con più monumenti storici preservati e dove il contrasto tra il vecchio e il nuovo continua a generare incredibili divergenze». (IR)

Iza Rutkowska lavora sullo spazio pubblico costruendo forme anomale, giocose e impraticabili che trasformano la realtà e quotidianità dei luoghi cittadini proponendo modalità diverse di interazione attraverso forme di contagio virale in grado di attivare nelle persone una consapevolezza diversa del luogo in cui vivono. Nel 2009 lancia il progetto della Forms and Shapes Foundationper realizzare progetti di simile natura collaborando con altri artisti ed esperti. Stimolando un dialogo tra architetti, giardinieri, filosofi, musicisti, grafici, contadini, cuochi, fisici, con la sua fondazione Iza Rutkowska ha creato progetti interdisciplinari che, collocati nelle città di tutto il mondo, traggono origine da una “filosofia del cambiamento” in atto.

Intervista all’artista:

___Quando è iniziato il progetto The Cuddly e come? perché un orso o non altri animali o oggetti?

«Camminando per le strade di Varsavia, ero stanca di vedere monumenti commemorativi sulla guerra, per lo più tristi e non fruiti. Rispetto la nostra storia e ciò che la commemora, tuttavia, come molti altri giovani probabilmente, ho la sensazione che quelli non siano i “miei” monumenti e che la mia vita sia piena di tutt’altre esperienze. Lo spazio pubblico di cui ho bisogno dovrebbe essere diverso, è uno spazio in continuo sviluppo e trasformazione. Il mio intento, con The Cuddly, è quello di far giocare le persone con lo spazio pubblico, per sentirsi lì come a casa. Così ho pensato a un oggetto che potesse far giocare la gente ed essere comprensibile a ogni età. Ecco allora un orso da coccolare, che è stato per tutti probabilmente come un primo miglior amico: ogni bambino ne ha uno e ogni adulto ricorda di averne avuto uno in passato. Certo, avrebbe potuto avere qualsiasi forma, ma nei miei ricordi ho conservato l’immagine di un orsacchiotto grigio, come quello che ho ingrandito.»

___Dopo Varsavia, l’Italia: perché e che tipo di accoglienza ti aspetti? Conoscevi già l’Italia? In Italia molti monumenti storici convivono col “nuovo”: questo è il motivo per cui volevi venire in Italia? e perché Bologna?

«Mentre The Cuddly girava per le strade di Varsavia ho ricevuto molte email da persone che mi chiedevano se sarebbe arrivato nella loro città, nel loro paese, fornendo tanti motivi per cui sarebbe dovuto essere in un posto esatto. Così ho capito che l’orso avrebbe dovuto viaggiare di più. Ho visitato l’Italia diverse volte e ogni volta sono rimasta stupita dalla quantità di monumenti ben conservati di epoche differenti. Una quantità davvero sorprendente rispetto alle nuove creazioni. In particolare mi ha stupito come ognuno riesce a relazionarsi a questi monumenti a seconda delle proprie necessità. Per questo mi sembrava interessante sperimentare come The Cuddly potesse funzionare in quegli spazi. Poi in Italia e mi pare in special modo a Bologna, avete una cultura e una vita pubblica, all’aperto intendo, totalmente diversa dalla nostra…quindi grazie al supporto di Nosadella.due sarà possibile portare l’orso anche a Bologna e vedere come si trova…»

___Come reagiscono le persone al grande orso? Attira più bambini o adulti? La gente si interessa e interagisce con lui?

«The Cuddly è dedicato a persone di ogni età, anche se io sono molto più interessata alle reazioni delle persone adulte dal momento che il progetto, credo, fa emergere il bambino che ogni adulto ha dentro di sé. Sono davvero curiosa di vedere come gli italiani reagiranno! In Polonia lo hanno spostato in luoghi diversi, usato come allenatore, come arredamento da esterni, la maggior parte delle persone semplicemente si avvicinava e lo abbracciava…Una volta, mentre ero seduta su una delle zampe dell’orso ho sentito dei ragazzi seduti sull’altra parlare delle loro pene d’amore. Un’altra volta ho visto persone in attesa del bus fumarsi una sigaretta in braccio all’orso, come fosse la cosa più normale del mondo e l’orso fosse sempre stato lì! Un bambino gli ha portato un barattolo di miele!»

___Che tipo di luoghi cerchi per l’orso? Come li scegli? Cos’è, a tuo parere, una piazza e un luogo pubblico?

«Mi piace dare nuove forme alla realtà, così cerco sempre di mettere The Cuddly in un luogo dove può attivare l’immaginazione della gente. A volte anche ostruire per un momento la strada di qualcuno mentre va al lavoro o a scuola, mi interessa motivare una reazione, far pensare allo spazio in cui viviamo, allo spazio pubblico che condividiamo, che attraversiamo. Se penso ad uno “spazio pubblico” ideale, è quello in cui le persone si sentono a proprio agio, come a casa. Se ciò non avviene credo significhi che è progettato in modo sbagliato e occorre pensare a come cambiarlo…per molti luoghi forse è giunto il momento!»

___Dove andrà The Cuddly dopo l’Italia?

«In Austria, a Graz, poi nelle Azzorre!»

Aleksandra Stratimirovic “My Light Future”

Un progetto artistico per lo spazio pubblico

Nell’ambito di Bologna Children’s Book Fair 2013 Nosadella.due in collaborazione con Swedish Arts Council presenta per la prima volta in Italia, il progetto My Light Future di Aleksandra Stratimirovic.

My Light Future è un progetto di arte nello spazio pubblico che l’artista dedica al mondo dei bambini per sottolineare l’importanza del loro punto di vista all’interno della società, creando uno spazio per relazionarsi con la loro immaginazione e le loro aspettative per il futuro. A partire da pensieri e opinioni raccolti da bambini bolognesi, tra i 3 e i 6 anni, l’artista traduce le loro voci in installazioni luminose che vengono diffuse in luoghi pubblici e privati della città grazie alla modularità di light box appositamente confezionati.
Per due settimane vetrine e locali di librerie, negozi, caffè e spazi artistici e culturali di Bologna hanno creato una mappa luminosa per far splendere non solo le frasi dei bambini ma anche una rete di luoghi simbolo della fantasia e della creatività bolognese: «usando la strategia della comunicazione commerciale in cui le vetrine attraggono i passanti, le light box rendono visibile ciò che solitamente resta invisibile: i pensieri, i sogni e le osservazioni dei bambini» (AS)

Il progetto, che non sarebbe stato possibile senza la gentile collaborazione di tutti i luoghi che hanno scelto di ospitarlo, è stato avviato col supporto dello Swedish Institute e realizzato per la prima volta nel 2010 a Belgrado (Serbia) in collaborazione con il Cultural Centre Grad. L’anno successivo viene prodotto a Mostar (Bosnia & Herzegovina) in collaborazione con lo Youth Cultural Centre Abrasevic e approda a Bologna grazie alla collaborazione con Nosadella.due – Independent Residency for Public Art.
Qui si sviluppa anche grazie alla gentile partecipazione di: START-Laboratorio di culture creative della Fondazione Marino Golinelli, Scuola Primaria di Marzabotto, Biblioteca per Ragazzi della Sala Borsa, Scuola dell’Infanzia Zamboni, Teatro Testoni, di tutti i bambini che hanno regalato la loro visione, e allo speciale contributo dell’artista Elisa Fontana che ha curato il dialogo con i bambini.

Artista visiva e designer, Aleksandra Stratimirovic è nata a Belgrado dove si è laureata alla facoltà di Arti applicate e Deisgn dell’Università di Belgrado. Ha completato i suoi studi specializzandosi in lighting design all’Università di Belle Arti (Konstfack) e al Royal Institute of Technology (KTH) di Stockholm, dove attualmente vive e lavora.

 

“Ballare a Bologna, Super Late” di Aleksandrjia Ajdukovic

Un progetto artistico per lo spazio pubblico nell'ambito di Learning from Malpighi

L’artista serba Aleksandrjia Ajdukovic è artista in residenza a Nosadella.due – Independent Residency for Public Art,  per la realizzazione di un progetto nel contesto pubblico bolognese di piazza Malpighi e piazza San Francesco.

Il progetto è un ritratto silente di queste due piazze animato dal movimento di abitanti e passanti invitati a fermarsi nei luoghi in cui si trovano in un preciso momento per interpretarli attraverso il ballo. L’artista ha realizzato un breve film in super8 dal titolo Ballare a Bologna, Super Late, ispirato ai filmati degli anni Ottanta della garage band Dirtbombs. Giocando sul modo di dire Super Late, che allude al mezzo da lei utilizzato ma che rimanda al tempo stesso allo stereotipo del “ritardo” con cui gli italiani sono spesso classificati, il ritmo del ballo diventa mezzo di paragone per leggere e sospendere il ritmo frenetico della città rispetto al quale si ha l’impressione di essere sempre in ritardo.

Il progetto è parte di “learning from malpighi – sguardi e direzioni per piazza Malpighi e piazza San Francesco” ideato da Re:Habitat, associazione fondata da diversi soggetti creativi – fra cui Nosadella.due – quale gruppo di rigenerazione urbana, che ha sperimentato negli anni vari percorsi condividendo progettazioni in ambito culturale, artistico, formativo e dello sviluppo del territorio.
Learning from malpighi è un percorso di osservazione e ascolto dello spazio urbano che nell’arco di due mesi si sviluppa grazie ad una molteplicità di sguardi con approcci derivati dal metodo etnografico ed etnosemiotico, per far emergere varianti e invarianti nelle frazioni di vissuto e nelle pratiche esperienziali nelle due piazze.

L’osservazione, promossa da Urban Center Bologna e Quartiere Saragozza si inserisce nell’ambito di Di nuovo in centro, il piano per una nuova pedonalità del Comune di Bologna che intende affrontare alcune problematiche relative ai problemi di accessibilità e vivibilità nel centro della città e che ha fra le prossime tappe una riconfigurazione di piazza Malpighi e dell’adiacente piazza San Francesco, “luoghi cerniera” fra la parte più esterna e il nucleo più antico del centro storico (la cerchia del Mille).

Esito del percorso sono report grafici e testuali, documentazione fotografica e video, cartografie qualitative, infografiche, da cui emergono indicazioni quali-quantitative utili per il disegno delle due piazze di San Francesco e Malpighi, che Urban Center Bologna ha messo a disposizione dell’amministrazione per mostrare, discutere e comunicare ai cittadini le trasformazioni in atto.

Aleksandrija Ajdukovic (Osijek, Croazia – 1975) ha studiato Fotografia all’Accademia artistica “BK” di Belgrado, dove attulamente vive, e a quella di Novi Sad. Dopo aver seguito il corso sulle Pratiche artistiche post-concettuali dell’artista Marina Grzinic sta attualmente svolgendo un dottorato presso la Facoltà di Drammaturgia di Belgrado al dipartimento di teoria cinematigrafica, culturale e mediatica. È stata finalista per due edizioni del premio Mangelos per giovani artisti. È membro dell’Associaizone degli artisti visivi serbi ULUS. Interrogando principalmente lo sguardo e le voci dei passanti, l’artista immortala i fenomeni della vita moderna e il loro riflettersi quotidiano nel mondo della moda, della pop-culture e dello stile di vita di aree (non) urbane, in modo sempre ironico e indiretto

“Torri Contemporanee” con Beatrice Catanzaro, Søren Lose e Andrea Nacciarriti

Un progetto artistico per lo spazio pubblico

In occasione del restauro delle Due Torri, sostenuto e promosso dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, in collaborazione con il Comune di Bologna, “Torri Contemporanee” è un programma di residenza promosso da Nosadella.due in collaborazione con Articolture che vede invitati i tre artisti Beatrice Catanzaro, Søren Lose e Andrea Nacciarriti a intervenire sulle facciate di tre torri storiche della città con tre progetti appositamente commissionati.
Gli interventi temporanei prevedono la rilettura del patrimonio turrito attraverso lo sguardo non convenzionale dell’artista contemporaneo, che, utilizzando linguaggi e codici nuovi, si concede ripensamenti fantastici a servizio della storia e del nostro passato. Le opere creano quindi una sottile e giocosa alterazione del tessuto urbano, capace di scardinare l’abituale percezione di luoghi familiari, attirando da un lato l’attenzione dei bolognesi e dall’altro la curiosità dei turisti.

La Torre Alberici (Via Santo Stefano, 4)
Dove un tempo esisteva la vecchia dogana cittadina, ora ci si imbatte nel Palazzo della Mercanzia, progettato sul finire del 1300 dallo stesso architetto della chiesa di San Petronio. Alla sua sinistra, gli antichi palazzi dai portici in legno cominciano a dare memoria della Bologna medievale e poco oltre si scorge la Torre Alberici. La famiglia la eresse nel XII secolo: purtroppo i suoi 27 metri d’altezza sono rimasti per lungo tempo soffocati da un modesto edificio che ne nascondeva la vista e solo nel 1928, grazie ad un accurato restauro delle case adiacenti, ha ritrovato l’antico respiro. Fortunatamente, ancora oggi è possibile vedere la suggestivissima bottega con serraglia di legno a forma di ribalta, mantenuta durante il restauro al posto della base originaria. Si dice che sia la più antica di Bologna, risalente al 1273, al tempo realizzata per 25 lire: i lavori hanno comportato la scarnificazione dei muri, come si usava fare per ampliarne lo spazio interno. Lo spessore originario dei muri lascia per contro pensare che la Torre stessa potesse essere inizialmente più alta. E’ probabile che in epoca successiva sia stata poi abbassata per ridurne il peso e per lo stesso motivo, nella medesima occasione la sommità è stata trasformata in altana. Allo stesso modo, la torre reca traccia ben visibile sulla facciata dei tipici fori da ponte della Bologna medievale, e alcuni covili: i primi servivano da ancoraggio per le impalcature del cantiere di costruzione della torre stessa, i secondi, più grandi, per incastrare travi di legno per il labirinto di ballatoi, scale e solai che mettevano in comunicazione i vari piani della torre, o la torre con le case e le torri vicine, di consorti o famiglie amiche.

Il progetto: Scaffolder/ponteggio
A Bologna Beatrice Catanzaro interviene sulla Torre Alberici, di cui approfondisce ed esalta il punto di vista storico ed architettonico. L’installazione propone un parallelismo tra le tecniche costruttive medievali, che prevedevano l’utilizzo di travi in legno per la realizzazione dei ponteggi, di cui i fori quadrati presenti sulle facciate delle torri ne sono un segno tuttora visibile, e le attuali impalcature in bambù, materiale flessibile e resistente, normalmente utilizzate nei cantieri dei paesi del sud est asiatico.
L’opera getta quindi un ponte ideale tra la Bologna medievale e la Cina di oggi, utilizzando il bambù come elemento contemporaneo e straniante , che mentre rievoca le antiche tecniche edificatorie, avvicina due culture non più così distanti.

L’artista: Beatrice Catanzaro
Nata a Milano nel 1975, vive e lavora a Lisbona. Realizza azioni e interventi di arte pubblica con particolare interesse per le dinamiche socio-politiche, che caratterizzano l’evoluzione della società contemporanea. I suoi progetti mostrano un comune denominatore: la profonda sensibilità verso le problematiche urbane e sociali, evidenziate con ironia e leggerezza attraverso la pratica artistica. Beatrice intreccia storie, percezioni, significati e luoghi accostando realtà talora lontane e dissonanti, ponendo l’accento sulle contraddizioni e sui paradossi dei diversi contesti urbani e sul modo con cui gli abitanti vi si relazionano.
Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera in Pittura, partecipa al Master in Arte Pubblica e nuove strategie artistiche all’Università Bauhaus di Weimar con un programma di scambio alla Brookes University di Oxford. Tra il 2003 e il 2004 partecipa al programma di residenza della Fondazione Ratti e alla residenza artistica internazionale Unidee a Cittadellarte – Fondazione Pistoletto.

La Torre Lambertini (Piazza Re Enzo)
Bisogna osservare Palazzo Re Enzo da via Rizzoli per scorgere, con un po’ d’attenzione, la sagoma della torre Lambertini, incastonata – e mimetizzata – proprio sullo spigolo nord orientale del Palazzo. Si tratta più propriamente di una casatorre, che venne acquistata nel 1294 dal Comune di Bologna per ingrandire la sua residenza, formata dal palatium vetus – l’antecedente complesso del Podestà, e il palatium novum, il cosidetto Re Enzo. Famiglia guelfa di molto peso nelle cruente contrapposizioni per il potere della Bologna comunale, i Lambertini contribuirono fortemente alla cacciata dei Lambertazzi, gli esponenti ghibellini in città, avvenuta nel 1274 dopo più di quarant’anni di zuffe, incendi e saccheggi. Ma soprattutto a loro è ascritta la celebre cattura di Enzo, re di Sardegna e figlio dell’imperatore Federico II, che passò la sua restante vita rinchiuso nel palazzo, cui quanto meno venne lasciato il suo nome. Terminata la stirpe, a ricordare il passato illustre della famiglia è rimasta solo la torre, edificio sostanzialmente esile, di 25 metri, rimaneggiato nei secoli. Altana, porte e finestre sono state realizzate in tempi diversi, senza ovviamente considerare l’apertura al pianoterreno. Originali dovrebbero essere la porticina col balconcino e la finestrella più piccola, visibili sul prospetto orientale, cioè le uniche aperture che possano ritenersi del XII secolo. Infatti la grande porta e le finestre più ampie hanno uno stile più moderno e sono state presumibilmente realizzate quando la torre è stata assegnata al Capitano del Popolo, la magistratura cittadina del 1255. Incorporata nel palazzo, ha subito ovvi riadattamenti interni. Altri ne sono occorsi un cinquantennio dopo, quando il palazzo è divenuto prigione, prima femminile, poi per gli stessi Capitano del Popolo e Podestà. Poi ancora: sede del primo orologio meccanico pubblico, di cui anche ora, guardando in alto sempre sul lato di levante, è possibile notare le due grosse mensole che lo reggevano. Altri interventi sono riconducibili ai primi Novecento, sotto le direttive di Alfonso Rubbiani, connotati da un restauro “in stile” che oggi rende difficile distinguere ciò che è autentico e ciò che non lo è.

Il progetto: Unperfect Structure
L’intervento pensato per la Lambertini prevede il rivestimento parziale delle due facciate della torre con lamelle di polistirolo, che ricordano gli elementi di una architettura moderna collassata su sé stessa e ridotta ormai a rovina archeologica. La torre medievale a cui i pannelli si appoggiano è al contrario solida e massiccia, in grado di resistere al passare del tempo. L’artista invita a riflettere sul paradosso dello sforzo conservativo attuale che, rivolto esclusivamente all’antico, trascura i monumenti moderni, lasciandoli spesso in uno stato di abbandono e degrado.

L’artista: Søren Lose
Nato in Danimarca, a Nykøbing Falster, nel 1972, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Copenhagen, vive e lavora a Berlino. Principalmente con la fotografia, ma anche col video e con l’ installazione, cercando un’interazione fra i diversi linguaggi con cui esplora il tema del viaggio e quindi del tempo. Le sue opere rivelano una profonda sensibilità verso i sentimenti malinconici – dal sapore ottocentesco – ispirati dalla visione di rovine architettoniche, rievocazione di quell’atteggiamento romantico comune a molti artisti del Nord Europa. Allo stesso tempo, però, l’artista è attento e interessato alla lucida e rigorosa bellezza delle forme architettoniche moderne e quindi la sua poetica è un continuo confronto tra antico e presente. Nelle sue opere architetture passate e moderne si scontrano, dialogano fino a fondersi, fino a creare nuovi ibridi, dando vita ad un tempo irreale e sospeso.
Nel 2008 espone in Italia per la prima volta, a Milano presso la Galleria Riccardo Crespi e a Berlino, sua città adottiva, installa Abendland nello spazio Künstlerhaus Bethanien.

La Torre Uguzzoni (Vicolo Mandria – Ghetto ebraico)
Varcando simbolicamente uno dei “cancelli” di quello che per secoli è stato il ghetto ebraico di Bologna, una quiete insolita accoglie il passante che arriva da via Oberdan o da piazzetta San Simone, e si immette tra vicolo Tubertini e vicolo Mandria, in vie spesso ignote alla maggior parte degli stessi bolognesi. Questo scorcio urbano, nei suoi paesaggi cupi e gli stretti androni, più di altre vedute rievocano la grevità della Bologna Medievale. Su vicolo Mandria, una volta di mattoni scuri, e sulla sinistra, in tutta la sua sinistra bellezza, la Torre Uguzzoni, incastonata in un angolo che sembra non aver conosciuto il passare del tempo. Trentadue metri, su una base molto ampia, rivestita di blocchi di selenite disposti a filo dei muri e non a scarpa, come di norma. In cima è visibile un’altana che corona l’edificio, ma sicuramente postuma, di epoca sei-settecentesca. E ancora, l’antica porta che si apre sullo zoccolo, con il consueto architrave in selenite sormontato da un arco a sesto acuto in mattoni; le due finestre, una ad arco tondo sulla sinistra e un’altra, anch’essa arcuata ma più centrale. Questa diposizione disassata delle aperture fa propendere per una casatorre, piuttosto che una vera e propria torre. Sotto la finestra del primo piano, i 5 netti fori da ponte, che evidentemente reggevano le travi in legno del ballatoio, completano questa fotografia quasi realistica di un tempo che fu.

Il progetto: Untitled (Quelli di Cernauti)
Andrea Nacciarriti interviene sulla Torre Uguzzoni espandendone i confini spaziali nella terza direzione, attraverso l’innesto di un elemento estraneo e decontestualizzato. La visione delle incisioni medievali, in cui uomini si gettano dalle torri in fiamme o vengono defenestrati, e il ricordo dell’immagine universale e tragica delle vittime dell’11 settembre che si lanciano dalle Torri Gemelle, hanno provocato nell’artista la necessità di architettare un sistema salvifico, via di scampo per la torre antica come per il grattacielo contemporaneo. Ecco che una porta da calcio regolamentare rovesciata funge da rete di salvataggio, per salvare simbolicamente i prossimi caduti: un concetto forte esplicitato da elemento molto caro alla bolognesità sportiva. L’opera diventa un monumento, che l’artista decide di dedicare alla memoria del calciatore del Bologna Rino Pagotto e alla sua squadra improvvisata durante la deportazione nei lager nazisti. Quelli di Cernauti, appunto, al tempo Chernivtsi, città dell’attuale Ucraina, che nello sport trovarono una via d’uscita dall’orrore della guerra.

L’artista: Andrea Nacciarriti
Nato a Ostra Vetere nel 1975, vive e lavora a Senigallia. I suoi lavori si distinguono per la serrata relazione con il contesto ambientale e architettonico da cui l’intervento trae ispirazione: sono astrazioni geometriche che si inseriscono e interagiscono con lo spazio che le accoglie, oppure protesi e sovrastrutture – monumentali ready made – che ne alterano la percezione. La linearità e l’essenzialità dei colori e delle forme non sono tuttavia per l’artista un limite all’esplorazione di significati antropologici e sociali. Ne è un esempio il filone di opere suggerite dalla sua passione personale per il calcio, disciplina sportiva e allo stesso tempo fenomeno sociologico, di cui riprende il lessico, popolare ed immediato, per poi riadattarlo come medium comunicativo delle sue opere.
Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dopo un periodo di residenza e studio a Bilbao, partecipa al Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti di Como.